Ottobre 2019 – Alcest

 

Vive la France! O viva la rivoluzione delle copertine dalle tinte blu? In ogni caso: altro giro, altro mese da svenimento in un 2019 che giunto ormai a meno due continua a non conoscere nemmeno trenta giorni di tregua dalle grandi uscite. Pronti dunque per fare scorpacciata di altri quattro album che abbiamo selezionato come i preferiti in assoluto di ottobre dallo staff? Speriamo di sì, perché ancora una volta per chi scrive la qualità è altissima.
Si parte con i francesi Alcest (primi di tre dei quattro protagonisti di oggi che graziano un articolo di dovuta devozione al variegatissimo Black Metal propostoci dai cugini d’oltralpe), il cui attesissimo “Spiritual Instinct” uscito due settimane fa per Nuclear Blast Records ha straconvinto la redazione nella sua quasi totalità. Non solo il debutto per major non ha fermato il duo composto da Neige e Winterhalter, ma ha nella pratica regalato quello che si dimostra essere uno dei suoi lavori più solidi, belli e persino sorprendenti.
A seguire, come preannunciato, troviamo di fila altri due nomi francesi a parità di nomine (e citati alla quasi unanimità anch’essi) ma dalle coordinate stilistiche parecchio diverse tra loro nonostante la comunanza geografica, o forse proprio per questo – potreste dire se conoscete un po’ quel che il paese è solito offrire. Sulla carta sono intenti entrambi a farci alzare lo sguardo verso le ignote carte che mappano l’inconoscibile dello spazio e del cosmo, tuttavia in realizzazione finale che potremmo definire antitetica: i primi con una sana e letale dose di claustrofobia, mentre i secondi con qualcosa di incredibilmente arioso che da loro difficilmente ci si aspettava. Se ci avete seguiti negli ultimi periodi avrete già capito di chi state per leggere in entrambi i casi.
Dulcis in fundo, vi proponiamo dei tedeschi novelli con quella che a mani bassissime è la proposta più difficile della kermesse di oggi ma facilmente tra le cose più interessanti dell’ultimo mese; riprendiamo però le fila del discorso partendo dagli Alcest e dalle motivazioni per cui occorre non lasciarselo sfuggire.

 

 

Dopo anni di dischi eccelsi e persino rivoluzionari dire che con “Spiritual Instinct” gli Alcest abbiano composto materiale che rientra tra l’assoluto meglio dell’intera discografia dovrebbe bastare ed avanzare a consigliarlo; non lo facesse, il sesto full-length del duo riesce a portare diverse novità in un sound che in precedenza si era mostrato estremamente fragile al cambiamento. Non solo lo fa senza più sforzi, ma superando di netto la ricerca di consolidamento già riafferrata in “Kodama” con enorme intensità, assoluta grazia ed esplosioni di lacerante bellezza. Aggiungiamo una produzione che è tra le migliori degli ultimi anni e la delibera è scontata: semplicemente impossibile possa non trovare l’apprezzamento degli estimatori; interessante al minimo per tutti gli altri. Da avere.”

(Leggi di più nella colonna dedicate a “Protection”, qui.)

Il minimalismo e la delicatezza di “Kodama” fanno spazio a trame più dense e oscure, fondamenta di un’architettura sonora che, quasi in ossimoro, si estende ampia e ariosa; come pietre preziose le diverse linee ritmiche sfavillano in un tutt’uno organico, perfettamente bilanciato e dinamico, scenario ideale in grado di incanalare senza filtri l’eleganza dei francesi. Una ricerca dolorosa, una battaglia interiore e profondamente personale che prende vita traccia dopo traccia: il percorso che porta all’accettazione della precarietà e dell’ineffabilità della vita umana viene tracciato dal riflesso argenteo delle chitarre che, con forse inedito gusto Progressive, si fanno largo fra le ombre e le preoccupazioni dell’animo, e si manifesta in una delle release più estreme, struggenti e riuscite dell’intera carriera degli Alcest.”

Gli Alcest continuano a stupire portando un’ulteriore versione di sé stessi e un modo diverso di orchestrare la propria inconfondibile idea di Post-Metal. “Spiritual Instinct” si dispone su un layer comandato dalla (volutamente) bassa voce di Neige che contrasta alla perfezione con la componente strumentale, creando così un unico canale sonoro dalle fattezze eteree che trovano il proprio culmine nella conclusiva title-track, brano di assoluta bellezza e tra i miei preferiti di sempre nell’intera discografia del combo francese.”

Rimproverare agli Alcest l’eccessiva permanenza entro coordinate da loro stessi tracciate sarebbe insensato tanto quanto criticare uno stilista perché che indossa abiti da lui disegnati: nessuno meglio di Neige conosce la vera natura del progetto, e nessun altro è evidentemente in grado di mallearla producendo splendidi risultati anche in album di minore rottura. La perizia con cui il compositore francese si approccia alle sonorità più pesanti e ruvide porta queste ultime ad eguagliare (quando non a superare) per intensità emotiva anche i momenti più leggeri e toccanti, segno che non serve sbarazzarsi di una delle due anime per produrre qualcosa di interessante. Le lodi vanno estese anche a Winterhalter, musicista dal valore talvolta non riconosciuto ma che qui regala una delle sue prove migliori; la sua esperienza ormai decennale si traduce infatti in un drum-work preciso e puntuale, con alcuni picchi di virtuosismo che però non rovinano mai l’impalpabile magia firmata Alcest.”

 

 

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Il quarto full-length dei The Great Old Ones, che con “Cosmicism” riaffermano tutte le grandi qualità grazie a cui sono riusciti a farsi sempre più apprezzare e riconoscere nel panorama Black Metal. Il secondo album della band uscito per Season Of Mist si guadagna anch’esso una quasi-standing ovation grazie alle sue devastanti e stratificate atmosfere inconfondibilmente abissali in quello che potrebbe essere il loro lavoro migliore ad oggi. Tutto dire.

“Sembra impossibile i The Great Old Ones, arrivati ad un quarto traguardo di simile fattura, sbaglino un album; e “Cosmicism” infatti non si limita a riconfermare, bensì offre un’interpretazione del loro ormai classico sound che riprende il discorso lasciato aperto nella precedente storia di oscura eredità, sviluppando la capacità di concretizzarsi più immediati (ma mai semplicistici) per rendere il tutto ancor più coeso e d’impatto. Pezzi come “A Thousand Youngs”, “Nyarlathotep” e “Dreams Of The Nuclear Chaos”, però, oltre ad offrire in fila un finale di album di rarissima grandiosità (per una costruzione tutta in salita), dimostrano anche da soli di quanta disturbante personalità, varietà di tempi, stili, colori e profondità il gruppo francese sia ormai capace.”

(Leggi di più nelle due colonne dedicate ad altrettanti brani dal disco, qui e qui.)

Vittime di un naufragio, ci ritroviamo ad annaspare in mezzo a flutti mortiferi, illudendoci di poter infine incrociare il salvifico sguardo degli astri celesti; ma questi sono continuamente filtrati e beffardamente rifratti dal denso e impenetrabile strato d’acqua di “Cosmicism”: affascinte grazie ad un primo e immediato strato più accessibile, patina superficiale di quel grandeur melodrammatico e suadente che tuttavia riesce a conservare in sé ancora tutta quella pesantezza asfissiante che aveva fatto di “Tekeli-Li” un punto di svolta nell’orrorifica discografia dei transalpini; anche la varietà di “EOD” viene assorbita e reinterpretata restituendo un album maggiormente coeso e eterogeneo, ma costituito da brani sfaccettati e intensi, che dimostrano la sopraffina abilità compositiva raggiunta dalla formazione.”

L’abisso assume nuove forme in questa nuova opera dei The Great Old Ones, interpreti più che mai fedeli dell’ecosistema aurale e letterario lovecraftiano. Uscita dopo uscita i francesi continuano a migliorarsi sviluppando una costante evoluzione all’interno del proprio songwriting, fatto di davvero non trascurabile conto quando il macro-concept lirico di ogni album è pressappoco sempre lo stesso. Anche per questo motivo “Cosmicism” è senza dubbio il lavoro più maturo dei The Great Old Ones e tutti i (comunque piccoli) difetti del passato sono qui limati alla perfezione, rendendo questo disco il più immersivo e variegato di tutta la loro discografia.”

Si dice che gli intellettuali francesi del periodo siano stati gli unici a comprendere da subito la reale portata narrativa e filosofica dello scrittore di Providence, ed è quindi quasi scontato che proprio da Oltralpe provenga un album che come “Cosmicism” riconferma i The Great Old Ones tra i pochissimi artisti capaci di restituire l’autentico feeling di totale schiacciamento associato alle opere di Lovecraft. Il primo impatto non è facile, al solito, e la disorientante struttura dei sei pezzi abbinata alla loro lunghezza spesso monolitica sono ardui ostacoli per chiunque si aspetti solo distruzione e divinità ittioformi ovunque; ma chi realmente sente il famoso richiamo di Cthulhu non esiterà ad andare avanti nell’ascolto, perdendo così il senno nel tentativo di decifrare le miriadi di dissonanti sovrapposizioni scaturite dal trio d’asce a cui la musica della band di Bordeaux deve gran parte del suo terrificante fascino.”

 

 

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Terzi francesi in pista per oggi, ci sono i Blut Aus Nord con un lavoro di rottura che era richiesta a gran voce dai fan del mutamorfismo di cui Vindsval si fa da sempre portabandiera nel Black Metal – e ben oltre. “Hallucinogen”, uscito l’11 del mese per Debemur Morti Productions dopo qualche disavventura tra leak e ritardi di stampa, non ha mancato di colpire e convincere la quasi totalità di noi proprio per la sua natura nuova ed elettrizzante.

“Hallucinogen” è senza girarci attorno il disco che doveva uscire dopo “Cosmosophy”. L’ariosità celestiale di quest’ultimo si mescola con sorpresa al modo di approcciarsi al Black Metal melodico del primo “Memoria Vetusta”, e se il risultato riesce persino difficile da immaginare “Hallucinogen” mostra invece l’ibrido con chiarezza che si tuffa in territori fino ad ora totalmente inesplorati dal collettivo guidato da Vindsval: chitarre liquide, chitarre dalla distorsione mai così tagliente, chitarre impalpabili, progressive, cangianti, e chitarre sintetizzate e fluttuanti vengono stratificate e mescolate per creare, con una batteria nuovamente fisica e piena di gusto melodico sia nelle cavalcate che nelle non rare coagulazioni in blast-beat, un viaggio di trascendenza ipnotica e di freschezza cristallina che allontana la battuta d’arresto evolutivo degli ultimi due album in studio riprendendo l’imprevedibile espansione stilistica interrotta con la fine dell’inarrivabile trilogia dei 777. La direzione è sicuramente meno sinistra e meno spaventosa, ma non meno promettente.”

(Leggi di più nella colonna dedicata ad “Anthosmos”, qui.)

Chi, confidando nell’estetica lisergica di “Hallucinogen”, era in attesa di un disco schizoide e sfrenato non aveva fatto i conti con il profondo desiderio di Vindsval di continuare a scardinare i propri capisaldi, di mutare non solo il mezzo, ovvero lo spettro di sonorità a propria disposizione, ma anche gli intenti. Perché se la grigia disgregazione industriale è ormai stata ampiamente indagata, è su un piano prettamente umano e sensoriale, per quanto alterato e mutaforme, che la release si muove: lead pulite, tonde e psichedeliche che spaziano e rimbalzano negli ampi e avvolgenti sviluppi armonici, soundscapes dal sapore cosmico che si evolvono come organismi viventi le cui voci prendono vita sotto forma di cori celestiali e impalpabili. La ritrovata intraprendenza dei Blut Aus Nord è lampante e il vigore di cui vibrano i brani di “Hallucinogen” non può che rinnovare in noi lo stupore nei confronti di una band letteralmente immortale.”

“Dispiace per gli amanti delle loro sonorità più claustrofobiche ed elettroniche, ma i Blut Aus Nord danno il meglio nella loro personale visione di Black Metal quando questo è inteso nella sua diramazione atmosferica; è il caso in “Hallucinogen”, disco in cui sono le chitarre a giocare un ruolo più che mai fondamentale nella creazione di atmosfere cosmiche e allucinate (la dose di stranezza rimane pur sempre invariata, come dimostra la copertina), distorte, ronzanti ma anche supportate dall’enorme ricorso alla disgregazione delle stesse in ondate di effettistica, usate nella pratica come tastiere: ottime complici in questo folle viaggio di progressioni, perché sono infatti gli strumenti usati in modo orchestrale i narratori principali del racconto subliminale, mentre gli scream e le clean vocals fungono da contorno, sussurri ben inseriti che ritornano come gli spettri dei precedenti “Memoria Vetusta”. Piccoli ma significativi flashback in un nuovo cammino. Sorprendenti.”

Nulla rafforza passione e dedizione nel seguire le nuove uscite discografiche più dell’apprezzare l’ultimo prodotto di una band finora non particolarmente gradita. La senza dubbio tentacolare carriera del monicker francese si arricchisce enormemente grazie ad un lavoro in cui la creatività dei suoi autori si esprime attraverso una sezione ritmica variegata e carica di groove, vocals rarefatte sapientemente utilizzate come strumento di rinforzo dei particolari soundscape, e partiture di chitarra zeppe di melodie dal carattere sempre diverso: la pura psichedelia annunciata da titolo e artwork si alterna in realtà a momenti più gelidi in cui il Black Metal a tinte spaziali torna al centro del tutto, senza tralasciare certi lick più malinconici a cui bastano un ascolto o due per entrare nella testa di quasi ogni appassionato. Proprio questa apparente facilità d’ascolto potrebbe rendere “Hallucinogen” meno interessante agli occhi di chi segue da tempo Vindsval e soci, ma chi invece cerca solo un ottimo disco di Atmospheric Black difficilmente potrà dirsi deluso.”

 

 

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Un paio di nomine in conclusione anche per i neonati Monarkh, unico nome debuttante nella rassegna dei tre scafati che lo precedono per numero di apprezzamenti, che con il loro “Fosfor” uscito (per ora solo in cassetta limitata) per Kammer Records il 27 del mese passato mostrano un’interessante variazione sul tema stilistico che pervade l’operato dei parenti Fyrnask. Buon(issim)a la prima per il nuovo progetto di Fyrnd e Rune.

Disco particolarmente ostico (e parimenti interessante) quello proposto in “Fosfor” come biglietto da visita dai Monarkh: influenze di musica medio-orientale dall’approccio ontologicamente olistico, strumentazione alternativa che crea atmosfere ritualistiche interpretate in modo differente (più rumoristico e anche più limitato nel tempo) rispetto all’impegno principale del compositore tedesco, inventiva ritmica di enorme imprevedibilità, accordi spaventosi e risultati di rivelazione apocalittica, attacchi brutali pareggiati dalla splendida varietà delle vocals; non un ascolto semplice, soprattutto alle prime battute del primo monolitico brano l’attenzione richiesta è molta e non tutto occorre sia decifrato, ma sicuramente appagante e di grande interesse per chi cerca profondità e vero estremismo in ambito Atmospheric Black Metal.”

(Leggi di più nella colonna dedicata a “Psychikoi”, qui.)

La mano inconfondibile di Fyrnd ci guida nella sua personalissima catabasi gnostica, viaggio concettuale in tre capitoli atti a descrivere i diversi stadi della conoscenza umana. Se la partenza, dedicata all’ascesi e alla comprensione massima (pneumatikoi), si snoda fra passaggi intricati, arcane litanie e ripartenze imprevedibili, per antitesi la sfera degli istinti bestiali e delle passioni (hylikoi) sfuma nel cacofonico finale Dark Ambient. Nel mezzo, quello che è il vero gioiello dell’uscita: le atmosfere tragiche di “Psychikoi” e lo stridere del suo riffing a cascata disvelano appieno le vere potenzialità dei Monarkh, emanazione di un lato più impulsivo, ferale e sanguigno dei Fyrnask.”

 

 

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Con lo sguardo rivolto agli ultimi due mesi dell’anno e i cuori verso il nulla, comunque possa andare nel 2020, il 2019 ci inizia già a mancare e non è nemmeno finito. Come potrebbe del resto non farlo con quel che ha donato in questi dieci mesi? Ma abbiamo ancora del tempo da trascorrere in sua fortunata compagnia – passatelo dunque al meglio, ovvero recuperando intanto questi quattro in attesa di quello che sarà il penultimo rendez-vous dell’annata al finire di novembre.
E già che ci siete, se volete tenervi aggiornati e non farvi cogliere impreparati, guardate cosa si profila al nostro orizzonte musicale in costante aggiornamento qui.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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